Acquedotti storici in Toscana
La Toscana viene spesso associata all’immagine di un grande museo all’aperto, un museo diffuso dislocato sul territorio. Fra gli “oggetti” di maggior interesse sotto il profilo storico-tecnologico sono sicuramente da annoverare gli acquedotti storici. Essi documentano un problema – quello dell’approvvigionamento idrico delle città – che è stato per secoli un aspetto centrale dei nuclei urbanizzati.
Problemi di logistica
La costruzione di un acquedotto prevedeva un’adeguata integrazione di capacità tecniche da un punto di vista ingegneristico e architettonico e di competenze scientifiche di natura idrogeologica. Si trattava di individuare la sorgente, realizzare adeguate opere di presa e di canalizzazione, costruire depositi-cisterne di decantazione e, spesso, una serie di archi monumentali a sostegno della canalizzazione aerea. Nel punto di arrivo, nei pressi della città, un complesso apparato idraulico distribuiva l’acqua alle principali fonti pubbliche.
Da Pisa ad Arezzo, da Livorno a Lucca, quasi tutte le città della Toscana mostrano nelle campagne circostanti i poderosi archi degli acquedotti storici ormai integrati nel disegno antropizzato del paesaggio toscano.
I sistemi idraulici più antichi
Un itinerario di questo tipo, se seguiamo un andamento cronologico, non può che iniziare con il ricordare l’abilità idraulica degli Etruschi che sembra conoscessero bene la tecnica dei condotti scavati nel sottosuolo e nella roccia. Un suggestivo esempio è il labirinto detto di Porsenna a Chiusi, una fitta rete di cunicoli sotterranei che costituiva il complesso sistema di drenaggio ideato dagli Etruschi in periodo arcaico (VI secolo a.C.) per sfruttare le acque di infiltrazione e di falda.
L’acquedotto come imponente opera monumentale è una realizzazione tipica dell’età romana. Dotati di lunghi percorsi sotterranei realizzati con apposite condotte, gli acquedotti romani sono associati dall’immaginario collettivo alle eleganti strutture ad archi innalzate per superare gli ostacoli del terreno. Numerose sono le testimonianze archeologiche sparse per il territorio governato dall’antica Roma, ma non mancano le opere scritte su tale argomento, tra le quali si ricordano il De Architectura di Marco Vitruvio Pollione e il De aquae ductu urbis Romae di Sesto Giulio Frontino. Nel territorio toscano sono giunti fino a noi gli otto grandi archi che si trovano in località Caldaccoli (dalle voci latine "calidae aquae", usate per indicare le polle di acqua calda che sgorgavano ai piedi del monte) presso San Giuliano. Essi testimoniano l’antico acquedotto romano, risalente all’ultimo quarto del I secolo d.C., che probabilmente riforniva d’acqua le terme di Pisa.
Realizzazioni tra Medioevo e Rinascimento
Durante il Medioevo alcune tecniche degli antichi romani per la costruzione degli acquedotti andarono perdute; l’approvvigionamento idrico delle città veniva assicurato prevalentemente per mezzo dello scavo di pozzi, sistema che però poteva essere all’origine di gravi problemi di salute quando le falde acquifere venivano contaminate. Non mancano comunque esempi che testimoniano notevoli abilità tecniche e ingegneristiche.
Particolarmente sorprendente risulta, infatti, il sistema idraulico realizzato a Siena tra Medioevo e Rinascimento. Si tratta dei "Bottini", un lungo e articolato complesso di gallerie che si snodano nel sottosuolo per rifornire d’acqua i cinque pozzi pubblici e le oltre cinquanta fonti presenti in città. L'opera vide l'impegno di famosi ingegneri senesi come Mariano di Iacopo, detto il Taccola, e Francesco di Giorgio che lasciarono nei loro trattati la testimonianza di una vera e propria abilità tecnologica locale. Chi visita Siena può ammirare le numerosissime fonti, concepite come stupende strutture architettoniche, decorate da celebri artisti e alimentate tutte, ancora oggi, dai bottini. Le più note sono Fonte Branda, realizzata nella prima metà del XIII secolo, e Fonte Gaia in Piazza del Campo, costruita tra il 1409 e il 1419 da Jacopo della Quercia e alimentata dal "bottino maestro", ampliato sotto la direzione di Francesco di Giorgio. Suggestiva è anche la visita alla Siena sotterranea, che mantiene le tracce delle trasformazioni della città, gli ampliamenti delle condutture, il riferimento delle contrade alle quali l'acqua arrivava, fino ai numeri civici delle abitazioni.
L’itinerario cronologico può proseguire in provincia di Lucca con il quattrocentesco acquedotto di Barga di cui oggi è possibile ammirare la spettacolare fuga di arcate che fa da sfondo scenografico al Parco Fratelli Kennedy, che occupa il vecchio fossato del borgo medievale.
Altrettanto suggestivo e forse ancora più spettacolare è il cinquecentesco acquedotto di Pitigliano, edificato su progetto di Antonio da Sangallo il Giovane. Al periodo mediceo risalgono i due grandi archi sorretti da un enorme pilastro in blocchi di tufo, mentre alla successiva età lorenese dobbiamo ascrivere i restanti tredici piccoli archi. Tre fontane nell'adiacente piazza della Repubblica costituiscono il terminale dell'acquedotto.
Gli acquedotti dell'età medicea
Gli acquedotti di Asciano e di Arezzo possono essere considerate le due strutture più imponenti che sono rimaste a testimonianza dell’età medicea.
L’acquedotto di Asciano fu una grande opera realizzata per rifornire la città di Pisa. L’opera, iniziata alla fine del Cinquecento sotto il diretto interessamento del Granduca Ferdinando I de’ Medici, fu completata nel 1613 mentre era Granduca Cosimo II. Dal Monte Pisano l’acqua giungeva sino alle mura cittadine, attraversando la pianura paludosa con l’antico sistema della condotta sopra una lunghissima fila di archi. Già agli inizi del Seicento il celebre medico Girolamo Mercuriale, nel trattato Dei Bagni di Pisa, considerava l'impresa tra «le opere quasi divine di Ferdinando I». Nel Settecento Antonio Cocchi, anch’egli studioso di medicina, asseriva che "la città di Pisa gode di un'acqua bevibile che in bontà non cede ad alcuna al mondo, e forse supera le più famose". Oggi in molti tratti l'acquedotto è associato a un suggestivo percorso pedonale e ciclabile.
Ad Arezzo, a breve distanza dal centro storico, sono visibili, ancora in ottimo stato di conservazione, gli archi dell’acquedotto vasariano costruito tra il 1593 e il 1603. La fontana pubblica in piazza Grande era uno degli sbocchi dell’acquedotto.
Gli acquedotti dell'età lorenese
Nel XIX secolo la realizzazione degli acquedotti riprese con notevole impulso per rispondere alle necessità idriche legate alla rapida espansione delle città e alla graduale e costante crescita dell’industria. Significativi miglioramenti furono consentiti dalla produzione di nuovi materiali e dallo sviluppo di nuove tecniche. La ghisa permise la costruzione di condutture idrauliche più grandi e resistenti, mentre le pompe a vapore ed elettriche favorirono un notevole aumento della quantità e della velocità dell'acqua. Nel Granducato di Toscana, i Lorena perseguirono una politica che mirava a rendere visibile la presenza dello Stato con una serie di interventi di pubblica utilità. In questa logica rientravano gli acquedotti monumentali. Il modello classico degli acquedotti romani ispirò ancora una volta gli architetti e gli ingegneri chiamati per la costruzione di queste strutture.
Della seconda metà del Settecento è l’acquedotto di Castiglione della Pescaia, progettato da Leonardo Ximenes. L'opera apparve un capolavoro di ingegneria idraulica tanto che, dopo la sostituzione della tubatura nel 1816, continuò a funzionare a lungo. Oggi è ancora possibile ammirarne parte della struttura architettonica.
Una delle più spettacolari testimonianze lorenesi è rappresentata dall’acquedotto che riforniva Livorno, detto appunto leopoldino. Lungo il suo percorso si incontrano vari edifici interessanti dal punto di vista architettonico e idraulico. Fra questi il più imponente è il neoclassico Cisternino di Pian di Rota, inserito nella suggestiva campagna livornese. In città si incontra l’edificio simbolo dell’intera opera idraulica, detto il Cisternone. Imponente edificio in stile neoclassico, presenta sulla facciata una caratteristica cupola dimezzata. Altro elegante esempio di architettura neoclassica nel contesto cittadino è il Cisternino, ultima delle tre grandi cisterne progettate da Pasquale Poccianti. La cisterna, che doveva ricevere l'acqua dall'Acquedotto di Colognole per poi alimentare, attraverso un sistema di condotti e gallerie, le fontane cittadine, non entrò mai in uso. Infine una curiosità: le vicende costruttive dell'apparato idrico livornese sono celebrate in un bassorilievo alla base della statua eretta in onore del Granduca Ferdinando III di Lorena in piazza della Repubblica.
Come era accaduto per Livorno, anche a Grosseto fu realizzato nella prima metà dell’Ottocento un Cisternone che in questo caso pescava l’acqua in profondità. Nel 1846, per far posto ad un monumento dedicato al Granduca Leopoldo II di Lorena, le parti del tempietto che lo sormontavano furono smontate e riassemblate ad Arcidosso.
Nel Ducato di Lucca, quasi specularmente all’acquedotto leopoldino di Livorno, possiamo ammirare l’acquedotto realizzato nell’Ottocento da Lorenzo Nottolini per rifornire Lucca di acqua di buona qualità. Le opere di presa, realizzate tra il 1825 e il 1840, sono ancora oggi in gran parte visibili nel verde dell'area di rispetto dell'Acquedotto Monumentale di Guamo alle pendici dei Monti Pisani. A Guamo si trova anche un elegante tempietto-cisterna neoclassico dal quale parte una lunga serie di archi che attraversano la campagna lucchese per oltre tre chilometri. Un suggestivo percorso pedonale consente di seguirne il tragitto. Alla fine degli archi, ormai in città, si può ammirare il tempietto-cisterna di San Concordio, un grazioso edificio a pianta circolare anch’esso in stile neoclassico. Il sistema idrico dell'acquedotto si completava in un insieme di fontane che arredavano il centro urbano.
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Scheda a cura Graziano Magrini
Data aggiornamento 05/mar/2008