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Chimica in Toscana

Chimica in Toscana

Sulla scorta di esperienze empiriche e delle notizie tratte dalle opere degli antichi nacque in Toscana, a partire dagli inizi del XVI secolo, una vera e propria scienza della chimica. Per volontà dei granduchi la ricerca teorica fu ben presto applicata a finalità pratiche come la lavorazione del vetro, l’analisi delle acque termali e l’ottimizzazione della produzione agricola.

Frontespizio de: Vannoccio Biringuccio, "Pirotechnia", Venezia 1540.
Gli albori della chimica in Toscana

A partire dal Cinquecento in Toscana si possono rintracciare osservazioni chimiche sia nei testi di pratica medica, botanica, alchimia e filosofia, sia nei lavori di farmacopea, mineralogia e nelle pratiche artigianali. Accanto ai Ricettari che contenevano le procedure per la realizzazione di medicamenti, si registrò una notevole diffusione dei Libri de' Secreti che riportavano le indicazioni tecniche per la preparazione di sostanze e coloranti utilizzati nelle botteghe di orafi e artigiani. La Pirotechnia del senese Vannoccio Biringuccio, fonditore e tecnico minerario, rappresentò il primo resoconto a stampa delle arti che adoperavano il fuoco come strumento di lavorazione primario. Nel suo celebre volume, Biringuccio descrisse le tecniche di lavorazione dei metalli e dei minerali, le operazioni di "assaggio" dell'oro e dell'argento, la forgiatura, la distillazione, la costruzione di specchi, di ceramiche e alcune operazioni alchemiche.

Antica facciata dell'Orto Botanico dell'Università degli Studi di Pisa.
La chimica dei Granduchi Medicei

I granduchi medicei Cosimo I, Francesco I e Ferdinando I mostrarono una speciale attenzione nei confronti della sperimentazione chimica, favorendone lo sviluppo e la diffusione. Nei locali della Galleria degli Uffizi e nel Giardino di Boboli furono istituiti laboratori per la produzione di sostanze medicinali e per la lavorazione del vetro, cui gli stessi granduchi amarono dedicarsi. Centro di sperimentazione chimica fu, agli inizi del Seicento, il Casino Mediceo di San Marco di don Antonio de' Medici. Nei locali del suo palazzo don Antonio istituì un laboratorio, la Fonderia e una ricca biblioteca chimica, in cui raccolse alcuni ricettari manoscritti. Intorno alla Fonderia, don Antonio riunì numerosi studiosi. Fra di essi vi era Antonio Neri, autore del celebre trattato sull'arte vetraria, diffuso in Europa fino al secolo XVIII. In quegli stessi anni il Granduca Cosimo II fece acquistare a Venezia un considerevole nucleo di opere chimiche del medico svizzero Paracelso, che destinò alla biblioteca del Giardino dei Semplici di Pisa. Sempre a Pisa operarono due medici scozzesi di formazione paracelsiana, chiamati in Toscana dal Granduca Cosimo: Jacopo Macolo, lettore di medicina e prefetto dell'orto pisano, forse anche medico personale dello stesso Granduca; e Giovanni Macolo, ostensore chimico nel laboratorio annesso al giardino botanico.

Ex Imperiale e Regio Museo di Fisica e Storia Naturale.
La chimica in età lorenese

Agli inizi del Settecento in Toscana la ricerca chimica fu applicata allo studio delle acque termali del Granducato e agli studi di mineralogia e geologia. Durante i sui viaggi di ricerca Giovanni Targioni Tozzetti rilevò la presenza, in numerose aree della regione, di banchi di minerali; Giovanni Arduino tentò di inventariare le ricchezze minerarie del Granducato. Nel 1778 Uberto Francesco Hoefer, farmacista di corte, pubblicò un piccolo volume nel quale individuò la presenza dell'acido borico nelle acque di Monterotondo e in quelle provenienti dai soffioni nei dintorni di Pomarance.

 

Lo sviluppo della chimica toscana nell'età lorenese fu strettamente legato a una politica di riforme istituzionali promosse dal Granduca Pietro Leopoldo, che favorì, attraverso l'istituzione di centri di ricerca e la creazione di nuove cattedre universitarie, lo sviluppo della ricerca scientifica nel Granducato. Nel 1757, presso l'Università di Pisa, fu istituita infatti la prima cattedra di chimica, assegnata a Nicola Branchi. La creazione nel 1775 del Museo di Fisica e Storia Naturale permise di realizzare a Firenze un vero e proprio luogo culturale idoneo allo sviluppo della chimica e al suo insegnamento. Il laboratorio di chimica del Museo, dotato dei più efficienti strumenti di ricerca, oggi conservati presso l'Istituto e Museo di Storia della Scienza, divenne un centro di ricerca di notevole importanza per i naturalisti del tempo. Ad esempio, la lente ustoria costruita da Benedetto Bregans e donata al Granduca Cosimo III de' Medici, fu usata prima nel 1694-1695 da Giuseppe Averani e da Cipriano Targioni per esperienze sulla combustione, poi, nel 1814, da Humphry Davy, quando venne a Firenze con Michael Faraday, per compiere ricerche sulla natura chimica del diamante.

Banco chimico del Granduca Pietro Leopoldo, XVIII sec., Collezioni lorenesi, Istituto e Museo di Storia della Scienza (inv. 319), Firenze.
Gli studi di Fontana e Fabbroni

Le ricerche di chimica pneumatica e di elettrochimica effettuate nel laboratorio del Museo di Fisica e Storia Naturale posero la chimica toscana in stretto rapporto con le ricerche realizzate in quegli anni nei maggiori centri scientifici europei. Gli studi di Felice Fontana, allora direttore del Museo, dedicati alle ricerche sull'anidride carbonica e al perfezionamento degli strumenti di misurazione della salubrità dell'aria, furono i primi contributi toscani agli studi sui gas. Nel 1780 Giovanni Fabbroni, vicedirettore del Museo di Fisica, pubblicò a Parigi le Réflexions sur l' état actuel de l' agriculture, in cui elaborò, attraverso l'uso di procedimenti di chimica pneumatica, nuove tecniche di agronomia e di coltivazione. I lavori di Fabbroni contribuirono al processo di acquisizione della chimica come strumento privilegiato per lo studio del mondo vegetale, che si affermò in quegli anni in Toscana e che portò alla costituzione della chimica agricola. Fabbroni spesso assisteva il Granduca Pietro Leopoldo che si dilettava a compiere esperienze utilizzando un apposito banco chimico e una tavola delle affinità, oggi conservati presso l'Istituto e Museo di Storia della Scienza.

Vetreria del laboratorio dell'Istituto Istituto Tecnico Gaetano Salvemini, Firenze.
Le cattedre di Chimica nell'Ottocento

Nel 1807 nel nascente Liceo di Scienze Fisiche e Matematiche, aperto presso il Museo di Fisica e Storia Naturale, fu istituita la prima cattedra di chimica teorica, accanto agli insegnamenti delle scienze tradizionali. La cattedra fu assegnata a Giuseppe Gazzeri, membro dell'Accademia dei Georgofili, che qualche tempo prima aveva lamentato la mancanza di un insegnamento della chimica pubblico, istituzionalizzato e finanziato dallo stato. Questo primo insegnamento di chimica non applicata fu attivo presso il Liceo fino agli anni della Restaurazione, allorché furono abolite tutte le cattedre di scienze tenute presso il Museo. Con la Restaurazione l'insegnamento della chimica fu trasferito presso la Scuola di Farmacia dell'Ospedale di Santa Maria Nuova e trasformato in cattedra di chimica farmaceutica. L'insegnamento superiore della chimica continuò a Firenze con l'istituzione, nel 1813, della cattedra di chimica applicata alle arti, presso la Scuola tecnica di arti e manifatture del Conservatorio delle Arti e dei Mestieri, che nel 1853 fu trasformata nell'Istituto Tecnico Toscano.

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Scheda a cura Anna Toscano

Data aggiornamento 16/feb/2008