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Dopo Galileo

ritratto di galileo

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  • Il tempo esalta la Scienza e calpesta l'Ignoranza: celebrazione di Galileo e delle sue scoperte scientifiche. Particolare dall'affresco di Anton Domenico Gabbiani, 1692-1693 (Palazzo Pitti, Firenze, Palazzina della Meridiana, sala della Meridiana, cupola).
  • La scienza recide le ali all'errore. Presunto ritratto di Galileo. Olio su tela di Anthony Van Dyck, sec. XVII. Ignota l'attuale collocazione dell'opera.
  • Ritratto di Vincenzo Viviani. Pastello su carta di Domenico Tempesti, 1690 ca. (Galleria degli Uffizi, Firenze)
  • Papa Giovanni Paolo II in visita presso l'Aula Magna Storica dell'Università degli Studi di Pisa. In alto al centro la statua di Galileo, opera di Paolo Emilio Demi.

La mattina successiva alla morte, dopo una cerimonia quasi clandestina per paura che l'Inquisizione potesse impedirne la sepoltura in terra consacrata, il corpo di Galileo fu depositato in uno stanzino sottostante il campanile della Basilica di Santa Croce. Tumulazione provvisoria, si diceva. Il Granduca Ferdinando II aveva disegni sontuosi: un sepolcro magnifico ed elegante, gemello di quello progettato dal Vasari per Michelangelo. Il grande scienziato di fronte al grande artista in un omaggio speculare della casata che li aveva protetti. E d'altronde, non si è forse creduto a lungo che Galileo fosse nato il 18 febbraio 1564, giorno della morte di Michelangelo, in un ideale passaggio di testimone? Inutile dire che nulla di tutto questo si realizzò. Per gelare gli entusiasmi commemorativi del Granduca di Toscana si mosse il papa in persona. Tramite l'ambasciatore Francesco Niccolini emanò, di fatto, un'ulteriore, tardiva, sentenza: Galileo era stato chiamato davanti al Sant'Uffizio «per una opinione tanto falsa e tanto erronea», l'aveva perfino diffusa e insegnata, dando «uno scandalo tanto universale al Cristianesimo con una dottrina stata dannata». Il sovrano che gli avesse dedicato un monumento a perenne memoria non sarebbe stato «punto d'esempio al mondo». Il Granduca Ferdinando, che pur negli anni successivi avrebbe fatto dell'eredità galileiana quasi un vessillo personale fondando e proteggendo l'Accademia del Cimento, questa volta, di fronte ai veti del rappresentante di Dio in terra, rinunciò. E la modesta sepoltura diventò definitiva. Falliti diversi tentativi, solo nel 1737 Galileo ebbe il suo sepolcro monumentale, realizzato forse diversamente da come lo si sarebbe voluto quasi un secolo prima, ma ugualmente solenne, con un busto che lo ritrae, un'urna marmorea, due statue raffiguranti un'astronomia che guarda affascinata al cielo, e una geometria inconsolabile di fronte alla morte e, magari, all'ingiustizia.

 

Al capezzale di Galileo morente e alla traslazione della sua salma, oltre al figlio Vincenzo e all'erede intellettuale diretto Evangelista Torricelli, era presente il ventenne Vincenzo Viviani. Ultimo allievo a vita, avrebbe passato gli anni futuri nel tentativo vano (e a volte un po' goffo) di far riabilitare le idee del maestro, fino a farsi costruire, grazie a una pensione ottenuta da Luigi XIV re di Francia, un palazzotto in Via dell'Amore, detto la Casa dei cartelloni, una specie di enorme mausoleo, con tanto di busto e di cartigli celebrativi sulla facciata, che portano scolpita l'intera vita di Galileo in latino, partorita da lui stesso fra mille insicurezze. Una biografia vera e propria, concepita nel progetto iniziale come un'opera ciclopica e imperitura, il Viviani avrebbe dovuto scriverla in cambio del vitalizio che aveva permesso tutto questo. Ma non la scrisse mai. Per la paura di ritorsioni, per non esser riuscito a trovare il bandolo della matassa nel conciliare geometria e dogmi di fede, per gli inviti più o meno espliciti alla prudenza (a volte anche autoinflitti), più efficaci, evidentemente, delle pressioni che gli venivano dall'alto dei palazzi parigini, anche da personalità del calibro di Jean-Baptiste Colbert, Ministro della Real Casa. Del Viviani, testimone diretto, ma non sempre cronista fedele e lucido interprete, ci resta soltanto lo smilzo Racconto istorico della vita di Galileo Galilei, e bisogna accontentarsi. Steso in forma di lettera indirizzata al principe Leopoldo de' Medici, neppure quello, alla fine, fu stampato lui vivente, ma fu pubblicato solo nel 1717, ben mimetizzato anche allora fra le decine di biografie dei Fasti consolari dell'Accademia Fiorentina del canonico Salvino Salvini.

 

Col tempo (molto tempo) le acque si placarono. Oltre un secolo dopo la morte di Galileo, il 5 gennaio 1768, Giuseppe Pelli Bencivenni, un notabile fiorentino nel giro di pochi anni anche lui messo all'Indice per alcune battute di spirito sui frati, annotava nel suo diario:

 

Che direbbe il Galileo se ritornasse in vita e leggesse fino nei lunari insegnata e spiegata la sua ipotesi del mot o della Terra intorno al Sole? Eppure è così nel Mangia di Siena, lunario colà impresso con le dovute approvazioni, e ciò con buona dottrina dimostrato al volgo, non che ai dotti, tanto nell'anno scorso che in questo. Così si mutano le cose nel mondo, ed a ssai più si muteranno, di modo che fra un secolo o due i nostri nipoti si burleranno forse di noi, dei nostri errori e dei nostri pregiudizi.

 

In effetti le cose erano mutate. La Chiesa, sfumato il pericolo galileiano, era impegnata da tempo nel tentativo di arginare la diffusione delle teorie newtoniane della gravitazione universale, che già nel resto d'Europa si davano per assodate, continuando evidentemente a vedere nel progresso scientifico, anche se per contingenze diverse, una minaccia per la conservazione della propria egemonia. Si era fra l'altro affrettata a proibire non i Principia di Newton, incomprensibili ai più e tutto sommato innocui, ma il divulgativo Newtonianismo per le dame di Francesco Algarotti, accessibile a chiunque e perciò fonte di maggiori insidie. Molti dei talenti più dotati avevano via via indirizzato, così come tanti altri in seguito, le proprie capacità verso campi dell'attività intellettuale meno rischiosi per la loro incolumità personale o semplicemente meno nocivi per la qualità della loro vita, segnando pesantemente l'indirizzo che la cultura italiana avrebbe seguito nei secoli a venire. Quanto agli errori e ai pregiudizi, ogni età sembra produrre i propri. E non dev'esser facile rimediarvi, visto che Galileo ha dovuto aspettare il 1992 perché gli fosse ufficialmente riconosciuto lo status di perseguitato, pur in un reticolo autoassolutorio di presunte attenuanti storiche, che addossavano comunque a lui, intempestivo, irragionevolmente testardo e perfino astronomo poco affidabile, la responsabilità principale dell'affaire.

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Scheda a cura di Sara Bonechi

Data aggiornamento 16/gen/2008