Storia della viabilità in Toscana
Fin dall'antichità, lo sviluppo di una rete stradale è sempre stata l'espressione della struttura organizzativa di uno Stato, essendo legata, di volta in volta, ad esigenze di carattere amministrativo, militare o commerciale. Il sistema viario toscano attuale affonda le sue radici nelle direttrici viarie create in età romana, come l’Aurelia e la Cassia, che anche nei secoli successivi costituirono le arterie dalle quali si dipanò un intricato e capillare sistema di strade secondarie.
Il costituirsi di un primo sistema viario
Nell'Italia preromana l'impianto viario era costituito, più che da strade vere e proprie dotate di una pavimentazione in lastre sistemate su una solida fondazione, da piste in terreno battuto che generalmente seguivano le asperità del terreno, assecondandone l'andamento irregolare. Non mancarono, comunque, importanti opere stradali che, invece di adattarsi alla natura del territorio, cercarono di sfruttarne le caratteristiche: per la Toscana, in particolare, si possono citare le cosiddette "vie cave" della zona attorno a Sorano e Pitigliano, strade larghe fino a 3 metri e a volte molto profonde, scavate nel tufo dagli Etruschi.
Furono, però, i Romani a distinguersi nel campo della viabilità, con la creazione di una capillare rete stradale che, fatta eccezione per i tracciati più antichi, si caratterizzava, oltre che per una solida pavimentazione, per la realizzazione di importanti opere di carattere ingegneristico, come ponti e gallerie, che consentivano di mantenere un andamento rettilineo anche in presenza di grandi ostacoli naturali. La sede stradale delle vie più importanti era costituita da una massicciata composta da tre strati successivi di materiale di grandezza decrescente (lo statumen, letto di pietre piuttosto grandi, seguito dal rudus, strato di malta mista a pietrisco, a sua volta coperto dal nucleus, gettata di malta, sabbia e pozzolana) su cui venivano appoggiate grosse lastre di pietra piane che costituivano il vero e proprio manto stradale (pavimentum). La larghezza canonica di queste viae stratae (da cui il termine "strada") si aggirava attorno ai 4 metri; a questi andavano ad aggiungersi due marciapiedi laterali di circa 2 o 3 metri di larghezza. In Toscana gli esempi meglio conservati di strade romane si trovano a Roselle. Dei ponti romani della regione non rimangono, invece, che pochi resti: si può solo supporre che, come i coevi ponti conservatisi in altre parti d'Italia e d'Europa, essi fossero costruiti utilizzando prevalentemente archi a tutto sesto costituiti da conci di pietra ben squadrati.
Dalla via Francigena alle strade della Toscana comunale
Con le invasioni barbariche e la dissoluzione dell'Impero romano d'Occidente le vie consolari, prima concepite come veicolo di amministrazione e di commercio, iniziarono ad essere considerate come una pericolosa via di penetrazione a servizio dei nuovi invasori e furono, pertanto, abbandonate al degrado. Gli stessi Longobardi, insediatisi nel Nord Italia alla fine del VI secolo, quando si trovarono nella necessità di collegare il proprio regno ai ducati presenti al di là dell'Appennino, furono costretti a definire nuove direttrici; infatti, quella che per secoli era stata l’arteria principale di collegamento fra il nord della penisola e Roma, cioè la via Flaminia, era rimasta sotto il controllo bizantino. Iniziò così ad essere sfruttato un percorso che, dopo la discesa di Carlo Magno in Italia, sarebbe diventato il più importante asse viario transeuropeo della penisola, conosciuto come Via Francigena (o Romea). Si trattava, prevalentemente, di una strada di pellegrinaggio che, con alcune varianti di percorso come quelle dei valichi appenninici tra l'Emilia e la Toscana, da Canterbury portava a Roma. Pur consistendo in una "pista" priva di pavimentazione, la sua importanza portò alla proliferazione di infrastrutture destinate al ristoro e alla cura dei viandanti, accelerando, contemporaneamente, gli scambi culturali e commerciali tra regioni.
In età comunale, la ripresa del commercio fu all'origine della creazione di ulteriori arterie di comunicazione, costruite sfruttando i fondovalle, e della costituzione di punti nevralgici di carattere politico-amministrativo come le "terre nuove" e i mercatali. Il ricordo delle antiche tecniche costruttive si conservò nelle strade lastricate cittadine, mentre per la costruzione dei ponti venne gradualmente abbandonato l'arco a tutto sesto in favore di un arco più ribassato con un'ampiezza maggiore delle luci e un conseguente ispessimento delle spalle. Tra gli esempi più celebri è sicuramente da annoverare il Ponte Vecchio di Firenze che, pur con qualche rimaneggiamento successivo, ha conservato intatta la struttura trecentesca.
La viabilità nella Toscana medicea
In epoca rinascimentale, grandi personalità come Leonardo da Vinci (Codice Atlantico, Manoscritto B ecc.), Leon Battista Alberti (De re aedificatoria) e Andrea Palladio (I quattro libri dell'architettura), dedicarono la loro attenzione anche ai problemi ingegneristici legati alla viabilità. L'apporto più originale si ebbe, sicuramente, nella costruzione dei ponti, pratica in cui gli scienziati e gli architetti dell'epoca applicarono i risultati delle recenti conquiste in campo matematico e geometrico. Caso emblematico è il progetto cinquecentesco del Ponte Santa Trinita a Firenze ad opera di Bartolomeo Ammannati, le cui linee furono fedelmente recuperate nella ricostruzione fatta all'indomani della Seconda Guerra Mondiale. Tra le opere di questo periodo notevoli sono anche i ponti fortificati come quello mediceo di Cappiano.
Per quanto riguarda la rete viaria, l'assetto del periodo comunale rimase sostanzialmente invariato sotto i primi Medici. Le condizioni non erano, comunque, ottimali dal momento che gli oneri per la manutenzione delle strade erano completamente demandati alle varie comunità locali e i lavori principali venivano eseguiti quasi esclusivamente in occasione di eventi importanti legati agli interessi del principe, come l'arrivo di Maria Maddalena d'Austria, sposa del futuro Cosimo II. Non mancarono, comunque, alcuni interventi da parte dei Medici soprattutto nella zona dell'Appennino e nei fondovalle bonificati.
La "rivoluzione stradale"del periodo lorenese
Nel Settecento la Toscana conobbe un periodo di grande sviluppo economico, frutto dell'illuminata politica della nuova dinastia regnante, i Lorena, che, specialmente dalla seconda metà del secolo, si distinse nel campo delle riforme e degli interventi sul territorio. All'interno di un piano di razionalizzazione della rete viaria granducale furono risistemati vecchi tracciati e realizzate nuove arterie di comunicazione per la cui manutenzione fu istituito il Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade (1825). Fu in questo periodo che si affermarono, in Europa, nuove teorie relative alle tecniche costruttive delle strade, come quella del francese Pierre Marie-Jêrome Trésaguet, ripresa poi dall'inglese Thomas Telford, che prevedeva una fondazione di grosse pietre da interporre tra il terreno di sottofondo e la massicciata, o quella "vincente" dello scozzese John Loudon McAdam, da cui il termine macadam, che, al contrario, voleva per il manto stradale un unico strato di pietrisco calcareo.
Protagonisti di questa "rivoluzione stradale" furono, in Toscana, scienziati e ingegneri del calibro di Leonardo Ximenes, Alessandro Manetti, Giuseppe Salvetti e Pietro Ferroni. A loro si devono alcuni dei più arditi assi viari, come la Strada Regia Modenese dell'Abetone, e delle più suggestive opere di ingegneria civile della Toscana .
Grazie a questa oculata politica di intervento, all'indomani della proclamazione del Regno d'Italia la Toscana poteva vantare, con i suoi oltre dodicimila chilometri di strade, una delle reti migliori del territorio nazionale.
Strade e autostrade nella Toscana contemporanea
Il periodo compreso tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento fu un'epoca di intense ed innovative realizzazioni. Già dagli anni Trenta del secolo XIX era stato tentato con successo l'impiego del ferro per la creazione dei ponti sospesi, come testimonia il Ponte delle Catene a Bagni di Lucca. L'impiego di nuove tecnologie legate a materiali come ghisa, acciaio e cemento armato rendeva ormai possibile l'attuazione di opere ardite che, pur mantenendo ancora il gusto dell'arco, erano già proiettate verso le moderne realizzazioni a struttura rettilinea, oggi ottenute grazie all'impiego di travi prefabbricate di cemento armato precompresso.
Anche le strade carrabili, che con l'avvento della ferrovia avevano perso parte della loro importanza, dalla fine dell'Ottocento ricevettero nuovo impulso. Furono migliorati i servizi di pubblica utilità, come stazioni di posta e luoghi di pernottamento, mentre le carreggiate vennero adeguate all'aumentato volume di traffico rotabile. Il metodo macadam risultò obsoleto di fronte ai nuovi sistemi di trasporto automobilistico. Se, infatti, la ruota cerchiata comprimeva la pavimentazione di pietrisco, ricompattandola e consolidandola naturalmente ad ogni passaggio, l'avvento della ruota pneumatica, che produce un effetto di risucchio del materiale, provocò gravi problemi di manutenzione a cui si decise di ovviare ripavimentando l'intera rete nazionale con il catrame.
Agli anni Venti-Trenta del secolo scorso risalgono le prime autostrade italiane: fra queste si può ricordare la Firenze-Mare (A11) che, nel tratto compreso fra Firenze e Migliarino Pisano, fu inaugurata già nel 1933.
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Scheda a cura Elena Fani
Data aggiornamento 17/gen/2008